
Nel 1988, il mercato videoludico era in continua espansione ed evoluzione. Ricordo come se fosse ieri quando un mio compagno di classe mi coinvolse con una frase: “So che ami l’ Horror e i videogiochi. Passa da me. Non te ne pentirai.” Quella frase durante la ricreazione fu destabilizzante e di sicuro effetto, a tal punto da farmi immediatamente catapultare nel suo salotto dopo la scuola. Davanti a me un glorioso Commodore 64 con lettore floppy e svariati titoli sulla scrivania, quand’ecco che mi viene mostrato quella che per me sarebbe divenuta l’icona di un genere.
Confezione verdina con un mostro che dilania una porta metallica. Sto parlando di sua maestà “Project Firestart”, per c64/128. A detta della stampa mondiale di settore, il primo survival horror cinematico della storia dei video games.
Il mio amico inserì quel floppy nel drive e con sorriso beffardo sapeva che avrebbe colto il bersaglio. Da sempre amante dell’horror, stava per mostrarmi un gioco che mi avrebbe spalancato le porte a nuove vedute nell’ambiente.
Ed eccolo lì davanti a me, su video, la nuova frontiera dell’horror game.Il titolo si presentava come un fanta-horror in puro stile Alien, che mostrando sequenze introduttive a una storia per quei tempi impensabile, ci faceva vivere un’avventura dalla trama forte e solida degna di uno script cinematografico di primo livello.
Siamo nell’anno 2061, a bordo del cargo spaziale destinato alla ricerca denominato Prometheus. La SSF è la società Statunitense finanziatrice e responsabile del progetto di ricerca che ha lo scopo di produrre degli esseri umani dalle incredibili capacità fisiche con il compito di fargli estrarre titanio e iridio all’interno di miniere situate su alcuni asteroidi nelle vicinanze. Purtroppo la prima generazione di questi operai geneticamente modificati si è rivelata estremamente pericolosa, e quando dall’astronave Prometheus non si hanno più segnali vengono mandati alcuni agenti esperti della SSF per controllare cosa è accaduto. In molti penseranno che una trama così sia scontata. Forse sì, poichè pesantemente ispirata a due colonne portanti della cinematografia di fantascienza: Alien e Blade Runner, lungometraggi entrambi di Ridley Scott, ma per quel periodo questo genere di videogame era pura innovazione, soprattutto per quanto riguarda i ritmi serrati della narrazione e l’atmosfera angosciante.
Sin dai primi minuti di gioco, a livello di programmazione, si è immersi in qualcosa che sa di miracoloso. Graficamente sbalorditivo, mostrava una costruzione ambientale simil 3D con visione isometrica, regalando al giocatore una profondità di movimento senza precedenti. Il nostro eroe, in tuta nera, poteva girare di locazione in locazione muovendosi ovunque, sfruttando anche la lunghezza e la larghezza del cargo spaziale proposto nella sequenza attiva. I dettagli si sprecavano, tutto sapeva di tecnologico e nulla era lì per caso.
Sale macchine, stazioni criogeniche, infermerie mediche e ponti di controllo erano solo alcune delle locations senza contare quegli sconfinati corridoi e le finestre che davano sullo spazio, mostrando nel suo splendore l’esterno dell’astronave che ci ospitava. La cosa che subito spiccava all’occhio destabilizzaando il giorcatore era la grossa quantità di sangue messo in mostra. Corpi smembrati e straziati immersi in ettolitri di plasma sparso ovunque che ci immergevano in una tensione ansiosa di grosse proporzioni. Le creature erano terribili alieni verdi davvero raccapriccianti dalla forza smisurata, pronte a farci a pezzetti con le loro fauci. Ci trovavamo proiettati in un incubo oscuro armati di pistola laser con cariche limitate quanto la nostra energia. Lo spirito di sopravvivenza era indispensabile per poter portare a termine la nostra ardua missione.Girando per il vascello era possibile interagire con dei terminali contenenti diari di bordo narranti gli accaduti dei giorni precedenti al nostro arrivo, oltre a risorse importanti come basi di ricarica energetica e munizioni per la nostra arma da fuoco. La trama incalzante rendeva tutto dannatamente stimolante, per non parlare delle sequenze cinematiche che spezzavano la routine mostrando inquadrature fisse con animazioni degne di un blockbuster di livello.
Per la prima volta sembrava di giocare ad un vero e proprio film horror sci-fi. L’Electonic Arts ci vide lungo spingendo questo lavoro svolto dalla Dynamics, lanciando sul mercato quello che per tutti divenne il nuovo metro di paragone. Nacque così il progenitore del genere survial horror, capace di farci sentire sempre sulle spine. L’ansia e la paura erano approdate così in questo mondo apparentemente innocuo e spensierato.
La cosa più curiosa, venne dal fatto che Project Firestart non venne mai convertito per altre macchine in circolazione, ma unicamente relegato all’ 8 bit di casa Commodore. Il bello è che nonostante il mercato proponesse computer a 16 bit come lo stesso Amiga si decise di non farne conversioni rendendo di fatto il gioco quasi una Killer Application per i possessori del famigerato biscottone. Un titolo che a mio avviso è un obbligo sia da giocare che da avere nella propria retro collezione. Coinvolgente, con atmosfera silenziosa e quell’azione improvvisa capace di farti saltare sulla sedia, mostrando il meglio di se nelle fasi esplorative/narrative e regalando al pubblico uno splatter esplicito decisamente fuori dalle righe. Un’indimenticabile esperienza che fa rabbrividire ancora oggi per lunghe ore di orrore.
Vi lascio con il video del gioco, per farvi rivivere quelle inimitabili emozioni.
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MCP

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Un gioco superbo, peccato per alcuni particolari resi in maniera grezza, tipo lo scrolling dei lunghi corridoi del gioco.